Bahaa Trabelsi

Giornalista, scrittrice e anche sceneggiatrice, Baaha Trabelsi è nata a Rabat nel 1966. Si laurea in studi economici in Francia e poi lavora per il governo e per diverse testate giornalistiche, occupandosi di cultura e società. Le sue inchieste sono numerose e riguardano argomenti delicati come la vita nelle prigioni marocchine, l’omosessualità o la prostituzione.

Bahaa Trabelsi è membro attivo della società civile e ha partecipato alla creazione di diverse associazioni, tra cui Donne e sviluppo. La sedia del custode è il suo quinto romanzo e ha vinto il premio letterario Sofitel 2017. Presidente della giuria che ha assegnato il premio in quella circostanza era Tahar Ben Jelloun.

L’impegno della scrittrice nei confronti delle donne ha avuto anche un riconoscimento nell’esposizione organizzata a Rabat per la Giornata internazionale delle donne 2017: il suo ritratto è tra i cento che celebrano le donne marocchine, note e anonime, che partecipano con la loro diversità allo sviluppo del Paese.

Un giallo marocchino è piuttosto inconsueto e per capire le ragioni per cui Bahaa Trabelsi ha deciso di scriverne uno, abbiamo cercato tra le interviste che ha rilasciato quella che meglio lo spiega.

Domanda: come le è venuta l’idea di un romanzo giallo?

Risposta: conosce l’adattamento cinematografico di Georges Pal del romanzo di fantascienza La macchina del tempo? Il personaggio che viaggia nel tempo vede cambiare il mondo attraverso la vetrina di un negozio di abbigliamento. Ecco, la stessa cosa è successa a me dalla mia finestra: vedevo l’edificio di fronte. All’inizio c’era una grande agenzia pubblicitaria che si chiamava Shems e che è stata sostituita da una banca, la Banque Populaire, prima di essere a sua volta rimpiazzata da una banca islamica. In una decina di anni ho visto dalla mia finestra cambiare il Marocco. Poi andando in giro per Casablanca, ho notato che davanti ai portoni degli edifici c’era una sedia, quella di un custode. Verosimilmente il suo compito era quello di osservare e di sorvegliare. Infine mi è capitato di sentire per strada delle conversazioni, in cui avvertivo piano piano insinuarsi il germe dell’islamismo. È da qui che mi è nata l’idea del libro. E la scelta del thriller non è casuale: permette infatti una specie di tensione utile a raccontare i cambiamenti in corso. Ho poi preso un serial killer psicopatico per denunciare la bestialità e la follia degli uomini.

Domanda: si parla di un Marocco che si orienta verso l’islamismo?

Risposta: Sì, penso che vada in quella direzione, ma lentamente, non con violenza. Tutti i personaggi raccontano in qualche modo questo cambiamento. Il vecchio Marocco che io ho amato, quella della tolleranza e delle aperture, non esiste più.  La società si sta radicalizzando e non si può impedire che degli psicopatici prendano quell’orientamento, quello della follia per esacerbare questi nuovi valori, caricaturizzandoli e usandoli come legittimazione per i propri crimini.

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